domenica 15 febbraio 2009

2) L'abito mentale della "consulenza senza consigli".

Fecendo seguito al precedente post "La consulenza senza consigli" nel quale se ne sono delineati i confini e le caratteristiche, in questa seconda parte se ne descrivono gli elementi caratteristici ed applicativi.

La consulenza senza consigli si basa su cinque elementi generali:

1) Letologia
Il termine “letologia” (ingl. lethology) è stato coniato da Heinz von Foerster[1].
È un modo positivo di parlare del “non conoscere”. Ha senso quando ognuno di noi trova quelle sue personali soluzioni che non potrebbero essere previste o proposte da nessuna altro. Se vogliamo essere in grado di fare consulenza senza consigli, dobbiamo metterci nella prospettiva di non “sapere” nulla, o in altre parole, dobbiamo partire da un’assenza di ipotesi su come stanno o su come dovrebbero stare le cose[2].
Ogni qualvolta partiamo da un’assenza di ipotesi, iniziamo a domandare sorpresi come bambini: “Allora, come fai a farlo?”, “Come è successo che ti trovi sempre nella stessa situazione?” e così via.
In questo senso la domanda che dovremmo fare incontrando il nostro miglior cliente che seguiamo attivamente da dieci anni è: “scusi, lei chi è?” [3].

2) Utilizzare preferenzialmente le domande sistemico-costruttiviste.
Le domande sistemico-costruttiviste seguono una forma particolare, con alcune caratteristiche:

2/A) Sono sempre domande aperte invece che chiuse (richiedono quindi una risposta
diversa dal semplice “sì” o “no”), e iniziano con:
􀁸 Cosa
􀁸 Chi
􀁸 Con chi
􀁸 Come
􀁸 Dove
􀁸 Dove poter
􀁸 Quando

(non “perchè”, in quanto questa domanda suscita meccanismi difensivi).

2/B) Sono domande che portano il cliente a pensare (al contrario delle “domande giornalistiche” dove l’interrogante è interessato ad avere una risposta che l’interrogato conosce già); c’è una evidente differenza tra la domanda “Quando incontrerai questa persona nuovamente?” e la domanda “Quando dovrai parlare nuovamente con questa persona in modo tale che il tuo collega ti dica - ben fatto! - ?”.

2/C) Sono positive e orientate alla soluzione invece che negative e/o orientate al problema o psicoanalitiche.

2/D) Non sono mai domande-suggerimento (ad es. “Non credi che gli impiegati dovrebbero …?”).

2/E) Sono focalizzate sul linguaggio interno, non su quello esterno.


3) Passare da “essere” a “fare”.
Quando adottiamo la prospettiva della consulenza senza consigli non chiediamo mai come stanno le cose ma come possiamo cambiarle.
Partiamo dalla prospettiva che, essendo una parte del tutto, ciò che noi vediamo (soggettivamente) è il risultato di un agire attivo e di un perseguimento.
L’immaginazione è qualcosa che possiamo fare, dal momento che lo abbiamo già fatto nel passato. Questo è il motivo per cui indaghiamo sulle esperienze positive fatte in passato e su come ciò potrebbe essere nuovamente attuato in futuro.

4) Linguaggio manageriale/ linguaggio quotidiano.
Il counseling è un metodo mutuato originalmente dai contesti sportivi e manageriali. Per questo motivo non utilizziamo linguaggi sofisticati o specialistici (men che meno psicoterapeutici) ma un normale linguaggio mutuato dalla vita di tutti i giorni o un linguaggio manageriale, a seconda del contesto del nostro intervento. Molto spesso il linguaggio utilizzato dal counselor ha un enorme influenza sul cliente e determina quindi il successo o meno della consulenza.
C’è una grande differenza tra “usare le parole giuste” e “dare consigli”. Possiamo non sapere o non voler sapere niente del problema del cliente e/o delle potenziali soluzioni, ma dobbiamo usare un linguaggio che calzi le sue aspettative.

5) La vita è fatta di azioni e reazioni.
Ogni qualvolta fronteggiamo un problema da risolvere o qualcosa da cambiare la prima cosa che facciamo è pensare che siano gli altri a dover cambiare. Pensiamo che se gli altri cambiano il problema si risolverà all’istante e noi saremo le persone più felici della terra.
Al contrario, il pensiero sistemico-costruttivista sostiene che non è possibile cambiare gli altri e che il cambiamento può passare solo attraverso noi stessi [4].
Infatti, se pensiamo alla realtà come a dei circoli di azioni e reazioni, non ha più importanza da dove iniziamo: possiamo iniziare dall’altro (cosa che generalmente ha poco successo perché forzare l’altro al cambiamento non è cosa gradita) oppure possiamo iniziare da noi stessi (e vedere quale reazione ciò provoca nell’altro).
Quindi, invece di chiedersi “Cosa tu dovresti fare per migliorare le cose?”
chiediamoci “Cosa potrei fare io per provocare un cambiamento negli altri?” [5].


Nota di sintesi
I servizi di Counseling sono finalizzati a supportare e sviluppare l’autonomia decisionale del Cliente nella conduzione economico-patrimoniale del proprio “menage”

Il modello si caratterizza per un approccio “pedagogico”che privilegia:
l’education relativa ai comportamenti economici, finanziari e di gestione dei rischi
–il supporto imparziale, metodologico e tecnico, alle decisioni relative agli aspetti economici della vita
–l’affiancamento nelle scelte implementative e nelle decisioni manutentive.

Il Counseling è espressione di una attività di “consulenza senza consigli”che si basa, da parte del Counselor, su “un’assenza di ipotesi su come stanno o su come dovrebbero stare le cose” [6]


Lo standard qualitativo della Indipendenza
In termini metodologici e tecnici l’indipendenza è obiettività ossia assunzione di principi di riferimento oggettivi, verificabili ed interni alla realtà del Risparmiatore

I principi di riferimento:
–non sono opinioni del consulenteche il quale è portato a proiettare, anche inconsciamente, i suoi stereotipi ed i suoi desideri (“conflitto di interesse”)
–sono concetti orientativi derivati oggettivamente dalla analisi e dallo studio del “gruppo di appartenenza”del Cliente.
- si basano su metodologie operative dichiarate, certificate ed accettate in un contratto.

[1] Von Foerster – Brocker, 2002
[2] De shaker, 1996
[3] Von Foerster – Brocker, 2002
[4] Von Foerster, 1993
[5] De shaker, 1996
[6] Si veda: Heinz von Foerster, LETOLOGIA,

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